San Antonio, Texas.
Nel 2020 l’Ufficio del Censimento ha comunicato alcuni dati riguardanti la popolazione cittadina: è stato constatato che un abbondante 88% degli abitanti è “bianco”, poco più del 6% è afro-americano, quasi il 3% è asiatico, e la rimanenza è suddivisa in piccole percentuali tra indiani-americani, nativi dell’Alaska e hawaiani o nativi provenienti da isole del Pacifico.
Di questo 88% “bianco”, la matrice ispanico-latina rappresenta una grande maggioranza con circa il 64%, mentre i “bianchi non-ispanici” corrisponderebbero al 24%.
Ora facciamo un bel salto indietro, nel 1944. Nel bel mezzo della Seconda guerra mondiale. Il periodo non era certo tra i migliori a livello generale; figurarsi per chi, al tempo, apparteneva alle minoranze. Un pò come nel caso della famiglia Gaston.
Il piccolo Clarence è cresciuto tra le realtà texane di San Antonio e di Corpus Christi, dove il padre lavorava come autista di semirimorchiatori.
Anche Corpus Christi ha un retaggio culturale importante, fatto di crimini e di eventi che riguardano i diritti civili: nel novembre 1873, sette pastori messicani furono linciati da una folla vicino alla città e il crimine non è mai stato risolto. Nel febbraio 1929 a Corpus Christi è stata fondata la League of United Latin American Citizens (LULAC). Questa organizzazione è stata creata per combattere la discriminazione razziale contro gli ispanici negli Stati Uniti e dalla sua fondazione è cresciuta riuscendo ad ottenere ora una sede nazionale a Washington, DC. Nel marzo 1949 a Corpus Christi viene fondato l’American GI Forum (AGIF); attualmente, l’AGIF si concentra sui problemi dei veterani, sull’istruzione e sui diritti civili. Questa organizzazione è stata fondata dopo le preoccupazioni per la segregazione dei veterani messicano-americani da altri gruppi di veterani e la negazione dei servizi medici basati sulla razza da parte del Dipartimento per gli affari dei veterani degli Stati Uniti.
A queste problematiche si aggiungono una serie di violenti uragani che si sono abbattuti con puntualità sulle coste della regione texana distruggendone ogni genere di risorsa durante tutto il secolo scorso, e parte di quello corrente.
Padre camionista, futuro sul camion. Non fa una piega. Ma per Clarence, forse, la potenza dei pesanti truck americani non è tutto; ci sono anche le palline e le mazze da baseball che ossessionano i suoi pensieri.
Al posto del suo nome di battesimo “Clarence”, il ragazzo, ad un certo punto della sua vita ha adottato il soprannome “Cito”. Durante il suo trascorso a Toronto molti anni più tardi, Gaston ha affermato alle emittenti dei Blue Jays che il nome era stato preso da un wrestler messicano-americano che guardava con grande ammirazione in tempo di gioventù quando viveva in Texas. Altri rapporti affermano che Gaston ha ricevuto questo soprannome da un amico di nome Carlos Thompson, il quale pensava che Gaston somigliasse a un noto wrestler messicano di nome “Cito”.
Cito ha iniziato la sua carriera decennale da giocatore nel 1967 con gli Atlanta Braves come esterno centro, apparendo in soli nove incontri. L’anno successivo è stato selezionato dai San Diego Padres nel draft di espansione, giocando per la prima volta nel 1969. Ha avuto la sua migliore stagione individuale nel 1970, quando ha battuto .318 (la media di battuta più alta di un Padres prima dell’arrivo di Tony Gwynn) con 29 fuoricampo, 92 punti segnati e 93 RBI. Lo stesso anno è stato selezionato nella squadra All-Star della National League. Il resto della carriera di Cito non è stato all’altezza del suo successo nella stagione da All-Star; infatti non ha mai segnato più di 17 fuoricampo o raggiunto più di 61 run in nessuna stagione con i Padres (fino al 1974) o in seguito con i Braves (1975–1978).
Di certo nel mondo del baseball le sfaccettature sono infinite e il non essere un portento nel gioco, non significa non poterlo essere a livello manageriale o viceversa…
Quindi dopo la lunga parentesi venezuelana a fine carriera, Cito ha deciso di cimentarsi nella figura di allenatore. Cito è diventato l’hitting coach dei Toronto Blue Jays nel 1982 ed ha coperto il ruolo fino al 15 maggio 1989, quando è stato promosso manager della squadra. Gaston inizialmente ha rifiutato l’offerta di diventare manager seguita al licenziamento Williams: “Quando mi è stato offerto il lavoro come manager, non lo volevo. Ero felice di lavorare come hitting coach e dei miglioramenti della squadra”.
È stato solo quando i suoi giocatori lo hanno incoraggiato ad accettare il lavoro che ha riconsiderato l’offerta.
Uno spogliatoio che ti rispetta, ti seguirà in capo al mondo. E di fatto questo è ciò che è successo a Cito. Dal punto di vista dei Blue Jays, la strada per raggiungere la cima della montagna dove issare la gloriosa bandiera stava proprio dal capo opposto del mondo. Quello che i Jays avrebbero raggiunto nel 1992 coronando il sogno delle prime World Series vinte per 4-2 contro gli Atlanta Braves di Bobby Cox, per poi ripetersi l’anno dopo con lo stesso risultato ai danni dei Phillis di Jim Fregosi (ricordate? La prima stella degli Angeli?).
D’altronde, l’esser stato compagno di un certo Hank Aaron per anni a qualcosa sarà pur servito.
Cito attribuisce a Aaron il merito di avergli insegnato “come essere un uomo; come stare in piedi da solo”.
Al tempo di Atlanta, Aaron disse a Cito: “Qualsiasi cosa ti succederà oggi, non portartela dietro domani. Lasciala andare”. E considerate che l’Atlata di quei giorni, nel deep south del paese, non era l’Atlanta di oggi; c’era un razzismo dilagante, carico d’odio.
Quando il professor Martin Luther King Jr. è stato assassinato a Memphis il 4 giugno del 1968, Cito era ormai abbastanza grande per cogliere la profondità del problema razziale. King aveva dato una concreta speranza alle minoranze, una speranza che fino ad allora era stata solamente oggetto di sogni di giustizia, tendenzialmente irrealistici agli occhi di chi li viveva.
Per la popolazione afro-americana, perdere un simbolo come il professor King è stato un brutale colpo al cuore. Ma guardare avanti, grazie a quella folle speranza che aveva smosso i cuori di milioni di persone, era il solo modo per non rendere il suo sacrificio vano.
Guardare avanti e persino oltre.
Proprio ciò che ha fatto Cito Gaston quando ha scelto di non diventare un camionista, per diventare poi il primo manager afro-americano nella storia della Major League Baseball a vincere le World Series.
@AlexCavatton sport addicted dal 1986
Amministratore di Chicago Bears Italia
Penna di Huddle Magazine dal 2018
Fondatore di 108 baseball su Cutting Edge Radio
Autore dei progetti editoriali:
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