Paisà: Joe Pepitone

“Puorte ‘e cazune cu nu stemma arreto
Na cuppulella cu ‘a visiera aizata…”

Correva il 1956, il Bel Paese si risvegliava sulle note del capolavoro senza tempo scritto da Nicola Salerno e Renato Carosone. Il Boogie-woogie della canzone napoletana racconta l’emulazione dello stile di vita americano alle orecchie della nazione, che tanto ama la sua terra ma che allo stesso tempo è fortemente attratta dalle possibilità del Nuovo Mondo.

Le note della melodia si diffondono a livello internazionale, e in un paio d’anni il 45 giri divenne una sorta di ponte sull’Atlantico, collegando simultaneamente sogni e nostalgie italiane. Lo stivale ascoltava Carosone guardando verso ovest, immaginandosi la bellezza del futuro, mentre “Nuova Yorke” aveva il suo sguardo rivolto verso est, laddove c’era casa. Nello stesso periodo, gli osservatori Yankees avevano posato gli occhi su un baldo ragazzino di Brooklyn, che un giorno, sarebbe diventato il connubio perfetto della parola composta italo-americano.

La stretta di mano tra Joseph Anthony Pepitone e i New York Yankees, arriva nel 1958, ma Joe avrebbe dovuto attendere 4 anni prima di fare il suo esordio tra i giganti del baseball. In questo lasso di tempo, passano diversi spring training, fino a quello che precede il suo anno da rookie nel ’62: la leggenda narra che durante quello spring training in Florida, Pepitone riuscì a spendere tutto il suo signing bonus di $25.000, equivalente di oltre $220.000 odierni. Nel proseguo di quella stagione, Joe vincerà l’anello coi Bronx Bombers guidati dalla leggenda di Mickey Mantle presenziando in 63 incontri di regular season e senza vedere il diamante nei playoffs. La prima base era infatti occupata dalla faccia cattiva di Bill Skowron, mazza precisa e troppo affilata per poter essere scalzata da un ragazzino. Ma Skowron, avrebbe salutato gli Yankees alla fine del 1962, proprio dopo la vittoria delle World Series, dirigendosi a Los Angeles ed aprendo uno spazio per la posizione.

Via una brutta faccia, dentro un’altra. Quella di Pepitone, che di lì a poco avrebbe vinto 3 Gold Glove con altrettante selezioni All Star. Ma quell’errore nel settimo inning delle World Series 1963 in game 4, col punteggio sul 1-1, costò di fatto il titolo agli Yankees. Joe trovò la redenzione l’anno dopo battendo un grande slam contro i Cardinals valido per andare sul 8-1 a Busch Stadium e sopravvivere per l’ultima sfida, prima di cadere sotto i colpi di Bob Gibson.

Ovunque andasse, Joe si portava dietro un beauty case con prodotti e minuterie per i suoi amati capelli, che però, si diradarono abbastanza celermente. Fino a costringerlo all’uso di un toupet. A dire il vero i parrucchini erano due: uno utilizzato per le partite, e l’altro per la vita quotidiana. Un giorno, nello scoprire il capo in segno di rispetto davanti all’inno nazionale, il parrucchino rimase dentro al cappello del grande Pepitone. Il resto è leggenda…

Se sul campo di gioco la storia di Pepi è andata tutto sommato bene viaggiando di poco sopra la media, una volta terminata la carriera che vide un paio di passaggi tra Astros e Cubs subito dopo gli 8 anni pinstripes, per le vicende nella vita privata di Joe non si può dire lo stesso. La sregolatezza era all’ordine del giorno!

Joe Pepitone amava la bella vita, e con questa il brivido del pericolo.

A carriera conclusa dopo le ultime 3 partite ai Braves, Joe andò in Giappone firmando un contratto da $70.000 per giocare con gli Akult Atoms, fiduciosi nelle competenze del battitore mancino, giunto nell’estremo oriente come una stella. Questi però, avrebbe portato il suo culo in campo solamente 14 volte, battendo un misero home run e chiudendo la stagione con .163 di media!

La sfrenata vita notturna a ballare con le ragazze nei club e le “papponerie” da italo-americanozzo, presero il sopravvento indignando il ben educato pubblico del Sol Levante. Joe rivolge la bocca verso il basso mentre arriccia il naso, e con senso di menefreghismo alza le spalle tornandosene a Nuova York. Comunque soddisfatto.

Quel fare balordo non scomparve negli anni, e dopo un decennio lontano dai campi di gioco, le abitudini di Joe trascesero nello stile gangster; il 18 marzo del 1985, a “Broccolino”, tra le strade del quartiere natio di Pepitone, la polizia di New York ferma un auto. Dentro ci sono due uomini e lo stesso Joe Pepitone, con due etti e mezzo di cocaina, un kit per basare, oltre 300 pastiglie, una pistola e più di $6.000 dollari in contanti. Il “misdemeanor”, crimine minore secondo la legge americana, costa a Joe 4 mesi di reclusione.

Per tutta risposta, arriva la dichiarazione alla Godfather, di quelle che si fanno beffa della legge sorridendo davanti ai capi d’accusa con insospettabile innocenza: “I didn’t know cocaine was illegal.”

Che fenomeno ragazzi… “Non lo sapevo che la cocaina fosse illegale!”

Lo stile di Joe era da vero duro di strada. Era cosa nota, lo si sapeva da quando alla High School un ragazzo sparò a Joe e questi non denunciò nemmeno il fatto, per una questione d’onore. Vicenda che peraltro avvenne proprio nella settimana in cui il padre di Joe morì d’infarto.

Dopo l’arresto, il fratello di Joe, Vinnie, da buon detective della NYPD, difese la personalità di Joe, ma non riuscì ad evitargli i 4 mesi di reclusione, scontati nella prigione di Rikers Island. San George Steinbrenner, riuscì poi a tirar fuori Pepitone di galera offrendogli un lavoro, riportandolo a casa nelle minors degli Yankees.

Più avanti, nel ’92, a Kiamesha Lake, NY, Pepitone venne prima fermato e poi provocato da un poliziotto che si rivolse a lui in modo diretto chiamandolo un “has-been”, come dire, “non vali più un cazzo”. A Joe queste cose non piacevano, così picchiò l’agente di polizia. Nel frattempo la vita di Joe attraversò vicende coniugali di ogni genere, riassunte in tre matrimoni e tre divorzi!

L’ormai familiare polizia di New York lo arrestò un’altra volta, mentre vagava ubriaco fradicio in un tunnel dopo aver perso il controllo della sua vettura. Joe si rifiutò di fare il test di sobrietà, e agli agenti che domandarono se avesse bevuto rispose: “Hey, I don’t drink that much!”

Carattere difficile Pepitone, senza regole e senza paura.

Ma Joe era così,

“Whisky and soda e rock and roll

Whisky and soda e rock and roll”.

@AlexCavatton sport addicted dal 1986
Amministratore di Chicago Bears Italia
Penna di Huddle Magazine dal 2018
Fondatore di 108 baseball su Cutting Edge Radio

Autore dei progetti editoriali:
"Chicago Sunday - 100 anni di Bears"
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