Dove iniziare per descrivere in poche parole la grandezza di Al Kaline, Mr. Tiger? Non si tratta di un compito facile, anzi. Meglio andare sul sicuro, affidandosi alle parole di un certo Ted Williams, che di Kaline disse: “E’ il più grande battitore destrorso di tutti i tempi” (inutile dire chi fosse il più grande battitore mancino, vero? ndr)
Williams aveva incontrato Mr. Tiger per la prima volta quando il giovane Al, ancora 18 anni, scaldava la panchina per Detroit, costretto a restare nel roster di major league senza passare dalle minors a causa dell’altissimo bonus che i Tigers gli avevano dato al momento della firma. Lo aveva visto fare batting practice, si era avvicinato a lui e gli aveva detto poche semplici parole: “Wait for the right pitch”. Aspetta il lancio giusto.
Le parole di Williams arrivarono a definire l’approccio alla battuta di Kaline e a determinarne lo straordinario successo, specie se combinate con l’altro mantra di quel ragazzo da Baltimore: “Go with the pitch”, un’altra frase semplice ma ricca di significato, che Al ripeteva fin da piccolo, ai suoi compagni di little league. Questi lo guardavano perplessi, ancora troppo piccoli per capire cosa significassero quelle indicazioni. Ma Kaline aveva già allora un istinto e una conoscenza del gioco superiori.
E poco importa se Al si è fermato a 399 fuoricampo, o se ha chiuso la carriera con una media battuta di .297 e non di .300: provateci voi a giocare la metà delle vostre partite da battitore destro nel vecchio Tiger Stadium. E provate a farlo nel periodo storico in cui i lanciatori dominavano quasi come fosse la deadball era (tanto che poi, a cinque anni dalla fine della carriera di Kaline, la MLB ha dovuto abbassare il monte di lancio)
Poco importa anche che Kaline non abbia mai vinto un MVP: probabilmente ne meritava un paio, uno su tutti quello del 1955, vinto forse ingiustamente da Berra. Ma, ancora una volta, provateci voi a vincere un titolo di MVP dell’American League quando gli occhi del mondo sportivo sono puntati su New York e c’è un certo Mickey Mantle che si diverte, tanto per dirne una, a battere Triple Crown.
Kaline resta nella storia del baseball per tantissimi motivi, e qui sotto ne elenchiamo solo alcuni, senza pretese di completezza.
La sua impressionante stagione 1955, a soli 20 anni: 200 valide, 27 fuoricampo, 102 RBI, media battuta di .340. Negli ultimi 50 anni, forse solo Trout nel 2012 è riuscito a fare così bene a quell’età.
La World Series del 1968, l’unica da lui giocata (e vinta), conclusa con una media di .368 e con la valida decisiva in Gara 5, con i Tigers sotto 3-1 nella serie e a otto out dalla fine della stagione.
La difesa: una volta ha fatto tre assist dall’esterno in tre inning consecutivi.
Le 3007 valide. I 18 All-star game. I 10 guanti d’oro. L’elezione nella hall of fame al primo tentativo.
Ma l’impatto di Kaline sulla città di Detroit è ancora più grande. Uno dei due più grandi giocatori a indossare la maglia dei Tigers, Kaline era forse l’esatto contrario del suo illustre predecessore, Ty Cobb.
Cobb viveva per la competizione, era spietato con gli avversari ed aggressivo nel suo gioco. Al impersonificava invece lo stile di vita di Detroit, LA città operaia degli Stati Uniti: lavora, porta a casa i soldi, non ti lamentare.
Anche se gli infortuni ti tormentano: un dolore al piede cronico, una clavicola rotta nel tuffarsi per una presa al volo, una mano rotta. Anche se, quando hai provato a chiedere un aumento, il tuo proprietario ti ha messo in cattiva luce davanti ai tuoi fan dicendo: “Ehi, guarda che non sei mica Mantle”. E anche se, in seguito a tutto ciò, i tifosi del Tiger Stadium sono arrivati addirittura a fischiarti.
Ma Kaline ha lavorato e lavorato, e alla sua ultima partita a Tiger Stadium i tifosi fischiarono sì, ma il manager, per averlo tolto e sostituito con un pinch hitter. Gli mancava un HR per i 400. In realtà era stato lo stesso Kaline a decidere di uscire: il suo corpo non ce la faceva più e a stento riusciva a sollevare la mazza.
Se ne pentì, in seguito, di aver chiesto la sostituzione, ma non per l’occasione mancata: perché non considerava giusti i fischi nei confronti del suo sostituto. Sì, perché un’altra grande caratteristica di Kaline era l’altruismo, visto anche dopo la sua carriera da giocatore, quando egli si presentava ogni anno a Spring Training a dare consigli a chiunque glieli chiedesse, allenatori compresi. Jim Leyland, ad esempio, col tempo è diventato suo grandissimo amico. I due si sono visti per l’ultima volta quest’anno: Al sapeva che il cronometro stava ticchettando. Ha abbracciato Leyland e gli ha detto “Grazie per la tua amicizia in tutti questi anni”. Grazie a te, Al, per ciò che hai fatto per il baseball. Che la terra ti sia lieve.