Uno dei ruoli più affascinanti del baseball è quello del closer, è il rilievo che ha il compito di chiudere la partita, di conquistare la salvezza.
In pochi lanci finisce tutto. Nel bene o nel male.
E’ un ruolo difficilissimo, non c’è possibilità di “aspettare” la partita, di trovare il ritmo.
E’ tutto e subito, è per pochi.
Mariano Rivera, probabilmente uno dei migliori closer della storia del gioco, nel 2004 spreca due save consecutive che consentono ai Red Sox di diventare la prima squadra dello sport professionistico americano a recuperare un deficit di 3-0 in una serie di playoff. Quella incredibile rimonta, raccontata in un bellissimo 30 for 30 di ESPN, consentirà a Boston non solo di compiere uno dei più grandi upset della storia ma di mettere fine, nelle successive World Series con St. Louis, alla maledizione del bambino, durata 86 anni.
Quest’estate abbiamo parlato incessantemente di Craig Kimbrel, fresco vincitore del titolo con i Red Sox, e da poco approdato ai Cubs. Ho visto dal vivo a Londra Aroldis Champman, uno scherzo della natura. Josh Hader sta viaggiando ad un irreale k/9 di 16,53. Edwin Diaz, nonostante qualche passo falso, rimane uno dei migliori closer della lega. Kyle Jensen non è più nel suo prime ma rimane una delle certezze dei fortissimi LA Dodgers mentre Brad Hand sta aiutando, con la sua continuità, la difficile risalita di Cleveland nella AL Central.
Quella che vi ho fatto è una lista di nomi noti anche al tifoso occasionale, closer a cui tutti vorrebbero affidare i destini della propria squadra in una gara decisiva di playoff.
Più complesso, almeno prima di questa stagione, inserire in quell’elenco il journey man hawaiano Kirby Yates. Eppure, da Aprile ad oggi nessun rilievo è stato più efficace: 30 salvezze su 31 tentativi con annessa prima convocazione al Midsummer Classic alla veneranda età di 32 anni.
Undreafted nel 2009, dopo aver rifiutato un contratto dai Red Sox nel 2005 in uscita dalla High School, Yates riesce a debuttare nelle Major solo nel 2014 per venir poi sballottato da una franchigia all’altra nei successivi 3 anni e mezzo: Tampa, NYY, LA Angels ed infine, nel 2017, i San Diego Padres.
Per capire come Yates sia passato da giramondo al miglior rilievo delle Major nel giro di 5 anni bisogna necessariamente tornare indietro nel tempo e parlare di onde, di Yankees, dell’intuizione del coaching staff dei Padres e ovviamente della splitter, il lancio con cui oggi il closer dei Padres è sostanzialmente in grado di mettere strikeout chiunque.
Per un hawaino come Yates le onde, con il loro moto incessante, hanno sempre scandito i ritimi della vita un po’come il baseball fa con le estati americane. La decisione di lasciare le Hawaii per l’Arizona nel 2015, a detta dello stesso giocatore, è il primo fondamentale passo per cambiare approccio e mettere in pratica quello che Al Davis, storico presidente degli Oakland Raiders, ha sempre sintetizzato perfettamente con due semplici parole: committement to excellence.
Gli Yankees lo raccattano dalla strada dopo il taglio dei Rays, l’esperienza in pinestripes dura pochissimo e finisce come le precedenti. Rappresenta però l’opportunità di lavorare con alcuni dei maestri della splitter come Tanaka ed Eovaldi. Leggenda narra che sono proprio gli insegnamenti del giapponese ed un grip con cui anche l’hawainao si trovava particolarmente a suo agio ad iniziare quel processo di rivoluzione che trasforma l’off-speed pitch di Kirby nell’arma totale che è oggi.
Tutto questo però, l’Arizona l’esperienza in PinStripes ed il maestro samurai della splitter, a nulla servirebbero se nel 2017, dopo il taglio degli Angels, che si sbarazzano di Yates nonostante la solo partita giocata con la franchigia meno cool della città di LA, non arrivasse il management di San Diego che si racconta abbia già notato il rilievo e stia solo aspettando l’occasione per firmarlo.
I Padres, che in quello stesso periodo hanno tra le mani un altro ragazzotto in cerca d’identità e su cui stanno lavorando forte, tale Brad Hand, sì proprio quel Brett Hand, hanno l’intuizione giusta e capiscono che la splitter, un po’ come la slider per l’attuale lanciatore degli Indians, può diventare l’arma impropria del journey-man hawaiano e che una volta affinato quel lancio a San Diego si ritroveranno con un rilievo di primissimo livello. Gli chiedono di lavorarci, di lavorarci ancora e di utilizzarla sempre più spesso. Si passa dal nulla delle avventure con NY ed LA ad un 40% di utilizzo nelle successive due stagioni.
La svolta definitiva arriva però solo nell’estate del 2018 quando Hand, ormai uno dei migliori rilievi della lega grazie al lavoro incessante sulla slider, divenuta adesso devastante, viene ceduto agli Indians. Il posto di closer si libera, Yates ne approfitta e chiude la stagione con 12 salvezze una ERA di 2.14 e una whip di 0.92. L’inizio del 2019 conferma i progressi del #39 che grazie alla combo fastball-splitter diventa ingiocabile. Questi due lanci, che partono in modo molto simile e sono quindi di difficile lettura, permettono a Yates di tenere ad un imbarazzante .162 i battitori avversari. Il K/9 sale fino a 13.87 che combinato ad un fantascientifico 48% di GB rate, la media delle groundball colpite dai suoi avversari, statisticamente la battuta meno pericolosa, sintetizza in modo comprensibile anche ai meno esperti l’incapacità/impossibilità da parte degli avversari di provare a rimontare i Padres all’interno dell’ultimo innig di partita.
L’ultima sfida resta la conferma a questi livelli.
Negli ultimi giorni si sta parlando di un possibile approdo di Yates a qualche contender ma l’hawaiano, dopo il tanto girovagare, ha espresso in modo chiaro il suo desiderio di restare a San Diego, città in cui si trova bene, e di provare a vincere con questi Padres, una squadra giovane e talentuosa che sta bruciando le tappe anche grazie all’esplosione di giocatori proprio come il closer #39 e ad una free agency aggressiva, che ha portato nella California del sud il talento di Manny Machado.
L’obbiettivo dichiarato sono quindi le World Series nel breve volgere di qualche stagione e gli ingredienti sembrano esserci tutti: il talento di Tatis Jr e Mahado, la potenza di Reyes, il change up di Paddack e ovviamente la combo fastball-splitter del più insospettabile dei figli delle Hawaii.