Avviso a chi si mettesse alla lettura: questo non è un pezzo sexy!
Zach Davies, pitcher dei Padres e protagonista delle prossime 1500 parole, non è quello che definiremmo un nome che muove le masse eppure, in questo assurdo 2020, la sua particolare stagione merita un approfondimento.
Arrivato a San Diego come completamento di una trade il cui pezzo forte era Trent Grisham Davies sta rendendo come mai in carriera e meriterebbe, per quanto mostrato fino ad ora, di finire almeno nelle honorable mention per il CY Young award perchè se i soliti noti deGrom, Darvish o la novità Fried stanno facendo bene l’ex Brewer, restando ai puri risultati di squadra quando sale sul monte, non sta certo sfigurando al loro cospetto. Le ultime due uscite, chiuse con altrettante loss dopo una lunga striscia di vittorie, stanno portando a galla alcuni dei limiti strutturali del lanciatore nato a Payallup (Washington) ma non va dimenticato come per l’undicesima volta in altrettante partenze abbia concesso 3 o meno punti collezionando l’ennesima quality start.
Not bad!
Che i Padres fossero vicini alla svolta era già abbastanza chiaro nella scorsa stagione: un gruppo giovane e ricco di talento capitanato da Tatis Jr e Chris Paddack, la firma di un fenomeno come Manny Machado e un farm system secondo solo a quello dei Rays erano sufficiente garanzia di successo. Che Zach Davies potesse essere l’innesco giusto per l’esplosione definitiva era invece più difficile da pronosticare. Per noi quanto per San Diego.
Come detto l’arrivo nel sud della California da parte dell’ex Brewer era stato considerato marginale, un pezzo funzionale da aggiungere alla rotazione come 4/5 starter, e nulla più. Questo nonostante Davies avesse chiuso il 2019 con un dignitosissimo 10-7 nella casella win/loss (su 31 partenze) tenendo una media ERA di 3.38 e una WHIP (onesta) di 1.28. Buona Sinker, discreto cambio, cutter e curveball all’occorrenza. Punto. Si diceva, ed i numeri quantomai impietosi nel baseball confermavano, gli mancasse il lancio per mettere K i battitori avversari (k/9 5,7 nel ‘19, 6,5 in carriera) tanto da dover abusare della sinker (oltre il 51%) per generare le groundball necessarie per portare a casa gli out.
In super sintesi: un pitcher atipico in una Major League dominata dalla potenza, al lancio come in battuta, privo dell’arma oggi sempre più indispensabile per sopravvivere nella Big League: la capacità di produrre K!
Come spiegare quindi l’esplosione di Davies? Cosa è cambiato esattemente negli ultimi 12 mesi?
Partiamo da un dato di fatto: a San Diego non saranno forse abituati a vincere titoli ma se si parla di player development in pochi possono competere con questa organizzazione.
Potremmo fare una lista infintia di giocatori migliorati all’ombra delle palme del sud della California, giovani e vecchi, senza distinzione, ma per restare al passato recente e non scendere dal monte sono due i nomi a venirmi subito in mente: Brad Hand e Kirby Yates. Il primo, un prospetto di belle speranze all’inizio della sua avventura nella lega, dopo una prima esperienza a Marlins, sotto l’occhio vigile del coaching staff dei Padres ha sviluppato una slider devastante che lo ha trasformato in un all-star. Il secondo, dopo una carriera da journeyman, nel 2019 ha guidato la lega per salvezze grazie allo sviluppo della splitter, lancio imparato ai tempi degli Yankees ma che nessuno aveva mai pensato potesse diventare l’arma impropria dell’hawaiano.
Nessuno tranne il coaching staff di San Diego.
Se due indizi potrebbero essere una coincidenza il terzo, Davies, è la prova che ai Padres sanno come tirare fuori il meglio dai propri giocatori mettendoli nelle migliori condizioni per eccellere
Arrivato in Cali il prodotto di Mesquite High School ha diminuito l’utilizzo della sinker accoppiandola però ad un change up, affinato e oggi micidiale, che gli ha permesso di essere meno leggibile e dipendente da groundball e difesa. Un buon uso della cutter, più contro i battitori mancini che con quelli destri, e quello sporadico, ma scientifico, della curveball hanno fatto il resto trasformandolo in The Technichan, soprannome affibiatogli da Grisham dopo l’ennesima solida partenza!
Grazie a questi accorgimenti nel 2020 il K/9 di Davies è schizzato ad un fantascientifico, per i suoi standard, 8,2, la ERA è passata dal 3,55 del ’19 al 2,85 attuale mentre la WHIP ha toccato il minimo in carriera a 1.07.
Fino a qui tutto bene.
I numeri che abbiamo utilizzato fino ad ora per raccontare la stagione di Davies vanno benissimo ma descrivono solo metà della luna. Per capire qualcosa di più, per cercare delle spiegazioni/conferme ulteriori, dobbiamo andare deep in the boxscore e utilizzare le stats avanzate.
In sostanza la domanda che dobbiamo farci, ed a cui proveremo a rispondere, è se i numeri che sta collezionando il pitcher dei Padres siano “solo” il risultato di un cambiamento nel modo di lanciare o se invece nascondano una componente di casualità/fortuna che nel baseball non va mai sottovalutata.
Se andate su baseballsavant.mlb.com, uno dei siti di riferimento per le stats avanzate, il primo grafico che troverete è sempre relativo al Percentile Ranking, in poche parole una tabella che mette a confronto le prestazioni del giocatore che stiamo valutando rispetto alla media della lega.
Se vi avevo convinto prima sulla bontà della stagione di Davies, quello che state vedendo dovrebbe farvi storcere il naso perchè, amici miei, il blu qui non è cosa né buona né giusta.
L’ex Brewer è sostanzialmente nella “parte bassa della classifica” in quasi ogni categoria fatta eccezione per la Exit Velocity, in cui si comporta meglio del 56% della lega, mentre è nella media per Hard Hit%, K% e Whiff% (la capacità di inundurre lo swing a vuoto).
Il resto, come dicevamo, è una mezza tragedia. In particolare saltano all’occhio il 28° percentile nella xWoba, uno dei parametri migliori per verificare l’effettiva efficacia di un lanciatore perchè è elimina dal contesto valutativo la difesa. xBA (expected batter average) e la xSlug confermano il dato della xWOBA mentre se andiamo a prendere la xERA (5.26) o ancora meglio xFIP (4.23) e SIERA(4.35), modi più precisi di contarei punti guadagnati sul lanciatore, ci accorgeremo che quel 2.85 di ERA che rappresenta una eccellenza assoluta non ci racconta tutta la verità.
Ma Davies non era quello che non aveva mai concesso più di tre punti nelle sue 11 uscite stagionali?
Come è possibile quindi che un lanciatore che chiuderà la stagione con un record di 7-4, una media ERA di 2.85 e una WHIP di 1,07 sia ben al di sotto non tanto dell’eccellenza ma della media in così tanti comparti statistici in un gioco, il baseball, dove le stats sono altamente predittive del rendimento di un giocatore?
Siete confusi, lo so.
Per provare a capire dobbiamo tornare alla xWoba ed alla sua sorellina, la Woba.
La differenza che c’è tra questi due numeri, rispettivamente .272 e .361 ci fornisce un indizio importante che possiamo andare a verificare con un ulteriore dato, la BABIP (batting average on balls in play) che nel caso di Davies è troppo bassa a .242.
Cosa vuol dire troppo bassa?
La BABIP è un numero che si attesta tra il .270 ed il .330, il dato di Davies è quindi una anomalia statistica che si traduce in una solo parola: DI-FE-SA! Ecco il segreto della stagione di Davies ed ecco spiegate le differenze enormi tra WOBA/xWOBA e ERA e le sue cugine più avanzate!
Come ha detto Pier Mandoi mentre ci confrontavamo durante la stesura del pezzo “quest’anno tutte le palle battute a Davies finiscono nel guantone giusto”
Fortuna quindi? Abbastanza. Ma non c’è solo quello ovviamanete anche se, possiamo garantirlo, se ci fosse una canonica stagione da 162 partite, e quindi un numero di partenze almeno triplo, molti dei dati che oggi ci raccontano di un Davies dominante, come la media ERA e la WHIP, tenderebbero a normalizzarsi.
Sarebbe però ingiusto terminare l’analisi così, concludendo sostanzialmente che Davies è stato solo fortunato e che abbiamo provato a celebrare, fallendo poi miseramente, uno che ha più culo che anima (perdonate il francesismo).
Detto del diverso usage dei lanci e di un K/9 interessante, la exit velocity e l’hard hit% ci raccontano di un giocatore che, pur senza eccellere, sa creare weak contact, rendendo gli out un po’ più semplici alla propria difesa.
A questo proposito è interessante notare come rispetto alle medie in carriera Davies in questa stagione stia creando una percentuale di “medium contact” che rasenta l’eccellenza (55,6%) e di come questo dato sia di 10 punti superiore a quello dell’anno precedente con le hard hit in caduta libera.
Sebbene la SIERA, che è strettamente correlata al tipo di contatto generato, resti comunque below the average sarebbe criminale non riconoscere che il lavoro fatto dal coachig staff di San Diego, unito ad una difesa di altissimo livello sia nell’infield che sull’esterno, ha permesso a Zach Davies di prendersi una parziale rivincita permettendogli di diventare il terzo di una rotazione che ha visto l’esplosione di Lamet e la conferma, infortuni permettendo, di un fenomeno come Chris Paddak.
Honorable mention per il CY Young? Non scherziamo! Se però Davies dovesse proseguire questa rivoluzione potrebbe diventare un solido partente per gli anni a venire nel pitching staff di una squadra che ha come obbiettivo quello di vincere le World Series.
Da “rinnegato” qual’era fino a 3 mesi fa non è una brutta prospettiva.
Ci vorrà ancora molto lavoro e un po’ di fortuna ma quest’ultima, a Davies, sembra essere una caratteristica che non fa difetto!