5 febbraio 1934, mentre a New York City prendeva vita la cruenta rivolta dei taxisti che si scontravano con le forze di polizia in una protesta in cui vennero bruciate diverse automobili di altri taxisti diciamo così “indipendenti”, diversi chilometri più a sud del Paese, a Mobile, Alabama, quello stesso giorno nasceva Henry Louis Aaron, meglio noto come Hank Aaron.
La storia è un pò sempre quella del sud segregato, dove la famiglia povera non ha nemmeno i mezzi per comprare a uno dei figli quel minimo indispensabile per giocare a baseball; di conseguenza un bastone raccattato da terra e dei tappi di bottiglia utilizzati in sostituzione delle palline sono abbastanza per stimolare la fantasia di un bambino.
Inutile raccontarvi che l’idolo di casa è un certo Jackie Robinson, quel ragazzo afro-americano che ha dato vita e speranza a tutti coloro che in quel tempo dovevano sottomettersi. Inutile dire che il giovane Aaron si ripromise di diventare come quel Jackie Robinson che stava cambiando le regole del mondo.
Al tempo dei Mobile Black Bears la cosa non si poteva nemmeno immaginare, ma a oltre mezzo secolo di distanza la stella dell’ottantacinquenne Hank Aaron è esattamente come quella di Sirio, la più brillante nel cielo delle stelle. Si perchè il vecchio “martello” è l’uomo con più apparizioni in assoluto nella partita delle stelle: 25 volte All Star, una in più di Willie Mays, ed una in più del leggendario Stan the Man.
Gli All Star Game giocati sono 24 nella National, più una singola apparizione nell’American.
Tra i professionisti dal 1954 al 1976, una vita di baseball. Una vita ben spesa!
La stagione d’oro è quella del 1957, quando Hammerin’ vince tutto: nominato MVP dopo aver segnato 44 home run e 132 (cento-trenta-due!) RBI, e campione delle World Series combattutissime contro i New York Yankees di Yogi Berra. La finalissima arriva a gara 7, il lanciatore destro di Milwaukee Lew Burdette è il protagonista assoluto vincendo 3 partite (bella inclusa) e si porta a casa il premio di MVP delle finali: per il pitcher 3 complete game, uno dei quali è proprio lo shutout di gara 7. Maestoso, oppure più semplicemente un uomo d’altri tempi.
Hank produce 3 home run e 7 RBI nella serie e il suo contributo è determinante per la conquista del titolo. Il 10 ottobre 1957, Hank Aaron è il re del mondo del baseball; il 1951 e i giorni passati agli Indianapolis Clowns della Negro League sono solo un lontano ricordo ma sempre terribilmente impresso nella sua anziana memoria.
Aaron ricorda:
“Abbiamo fatto colazione mentre aspettavamo che smettesse di piovere, e posso ancora immaginare di sedermi con i Clowns in un ristorante dietro il Griffith Stadium e sentire i camerieri dalla cucina rompere tutti i piatti dopo che avevamo finito di mangiare. Che suono orribile. Fin da bambino, l’ironia di tutto questo mi ha colpito: eccoci nella capitale, nella terra della libertà e dell’uguaglianza, e hanno dovuto distruggere i piatti che avevamo toccato, le forchette che erano state in bocca agli uomini neri. Se i cani avessero mangiato in quei piatti, li avrebbero lavati”.
Brutta storia Hank, ma tutto sommato non importa come sia andata, ormai è andata, e i piatti li hanno buttati via. Questo non per tralasciare ragioni particolari legate a razzismo o a beceri contesti storici, ma semplicemente perchè ciò che conta qui è il tuo lascito: quello di un un bambino che voleva diventare come Jackie Robinson, ed invece è diventato anche meglio.
@AlexCavatton sport addicted dal 1986
Amministratore di Chicago Bears Italia
Penna di Huddle Magazine dal 2018
Fondatore di 108 baseball su Cutting Edge Radio
Autore dei progetti editoriali:
"Chicago Sunday - 100 anni di Bears"
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